Saturday, December 12, 2020

Manlio Feruglio

Manlio Feruglio nasce a S. Donato di Preganziol, in provincia di Treviso, il 28 gennaio (altre fonti riportano il 28 novembre) 1892. 

Il padre, Luigi Ambrogio Feruglio (1847 - 1898) è medico chirurgo e proviene da una famiglia di Feletto Umberto (UD) di tradizione risorgimentale: il nonno di Manlio, Pietro Raimondo Feruglio, è stato il primo sindaco di Feletto dopo l'annessione di quest'ultimo al Regno d'Italia nel 1866. 
La madre, Anna Visentini (1855 - 1944) è invece originaria di Venezia. 

Orfano di padre a sei anni, Feruglio compie gli studi tra Feletto ed Udine. Diplomato, si trasferisce a Berlino per lavoro (o, secondo altre fonti, per perfezionare il tedesco). A seguito di una rissa scoppiata per motivi politici, Feruglio lascia il lavoro e torna in Italia. 

Nel 1912 è chiamato alle armi ed assegnato al Battaglione Cividale, 8° Reggimento Alpini. Appassionato alpinista e sciatore, frequenta il corso allievi ufficiali, venendo nominato sottotenente nel 1914 e passando al 6° Alpini. 

Durante la guerra è ufficiale di complemento degli Alpini. Nel 1915 ottiene la medaglia di bronzo al valor militare; nel 1916 è nominato capitano. 

Nello stesso anno, durante un corso di abilitazione al comando di compagnia, conosce Paolo Monelli. L'autore di "Le scarpe al sole" lascia di lui il seguente ritratto: 

"Feruglio, che ha lasciata mezza la guancia a Col San Giovanni per lo scoppio d'una torpedine e ci ha preso un bronzino, e che va in giro col cappello sulle ventitrè, penna sfilacciata, pipa in bocca, un cappotto giallo che fa le borse da tutte le parti, il visuccio scarno fuori dal bavero come quello di Fra Savonarola fuori del collare, così scalcinato che persino i suoi soldati lo chiamano il conducente, Feruglio dinoccolato per via e annoiato alle lezioni, agli occhi dei bravi ufficiali di stato maggiore che ci fanno mettere in bella la notra esperienza di guerra non appare certo un ufficiale modello. 
«Dica Lei, Feruglio. Quali sono i mezzi ottici a disposizione delle truppe alpine?»
«Gli occhi, signor capitano.»
E oggi si è preso un cichetto sacrosanto dal maggiore che comanda il corso perché non porta il nastrino della medaglia al valore.
«Come, Lei ha la medaglia al valore e non porta il nastrino?» 
E Feruglio, con quell'aria trasognata: 
«Cosa vuole, non ci tengo mica, me l'han tirata addietro, non l'ho mica meritata, che vuole che sia, non mi fa né caldo né freddo.»
«Come come, cosa cosa?» ha cominciato a balbettare il maggiore, sbalordito da tanto cinismo, come ha continuato a dire, da tanta scarsità di senso morale, e questo è uno scandalo, e non si è mai sentito bestemmiare in sta maniera, povera Italia con questi ufficiali. E così per un quarto d'ora, e Feruglio in piedi, dondolandosi un poco, si guardava attorno con lo sguardo assente come se si parlasse di un altro."
Addetto al servizio salmerie del 7° Alpini, dopo Caporetto chiede di tornare in prima linea ed ottiene il comando della 148° compagnia del battaglione Monte Pavone. 

Il 12 dicembre 1917, impegnato con la sua compagnia in un'azione di sbarramento sul fronte del Grappa, viene ucciso dallo scoppio di una granata all'età di 25 anni. 

Il 13 ottobre 1918 gli viene attribuita, post mortem, la medaglia d'oro al valor militare. A lui è intitolata la Caserma di Venzone, sede dell'8° Reggimento Alpino. 


Fonti



Le scarpe al sole,  Paolo Monelli

Monday, October 19, 2020

Giovanni Bernardo Decet

Giovanni Bernardo Decet nasce a Seren (oggi Seren del Grappa), provincia di Belluno, il 20 marzo del 1891. 
Durante la guerra presta servizio nel 7° reggimento alpini, probabilmente nel battaglione "Val Cismon" in cui era ufficiale Paolo Monelli, che di Decet (da lui scritto "De Cet") parla in alcuni episodi di "Le scarpe al sole". 

Il primo episodio avviene ad inizio 1916. Scrive Monelli che 
"[...] De Cet che aveva finto d'esser morto, ed era rimasto immobile lungo tempo, è rientrato alla sera a Malga Puisle, e ha raccontato che sotto a lui un cento metri c'era ancora il ferito che gli austriaci non han portato via. 
L'ho trovato stamattina, De Cet, che dormiva ancora; mi son fatto dire da lui come è andata la storia, me la racconta con poche parole senza muoversi dal suo angolo, e finisco col dirgli di venire di pattuglia con me per mostrarmi il posto. 
Rimescolio nella paglia, e una voce corrucciosa borbotta: «Che ciavada.»"

De Cet morirà il 19 ottobre dello stesso anno 1916, durante la battaglia del Monte Cauriol. Così scrive Monelli:

"Ma De Cet è morto. É morto come si leggeva sui libri scolastici di qualche eroe convenzionale. Quando ha visto prendere di mira il suo tenente gli ha urlato «Ocio che i ghe tira, sior tenente» e gli si è parato dinanzi, e ha preso il colpo nel petto."

Aveva 25 anni. É medaglia d'argento al valore militare.

Wednesday, August 12, 2020

12 agosto 1914: Umberto Artel parte per il fronte

Umberto Artel parte per il fronte il 12 agosto 1914. Non conosce la sua destinazione: ma come gli altri soldati del battaglione spera di essere inviato in Alsazia-Lorena perchè, come scrive, «lo spettro della Russia spaventa».

La partenza suscita in Artel una grandissima emozione, che egli sente di non poter mostrare («le donne piangevano, mentre noi che non possiamo mostrare quanto sentivamo nell'anima, salutiamo agitando i berretti») ma alla quale fa continuamente riferimento nelle sue pagine. 

Particolarmente toccanti sono i passaggi che l'autore scrive nel ripartire da Innsbruck. I saluti dei bambini, portati dalle maestre ad augurare buon viaggio ai soldati, ricordano ad Artel la casa che ha appena lasciato: «[...] pure noi lasciamo dei bimbi nostri laggiù nelle nostre case, angioletti belli, delle vecchie cadenti di anni, le nostre mamme che chiuse nelle loro stanzette ora deserte, piangono la partenza dei loro figliuli, nel dubbio crudele di non più rivederli.» 

Artel ha sentimenti ambivalenti nei confronti dell'Austria: «lascio correre le lagrime» scrive «al pensiero che forse sarò sacrificato senza un'ideale (sic), per una causa a me ignota, per una Patria non mia!...». Ma è palese il senso di solidarietà per la gente che incontra, a prescindere da quale sia la loro nazionalità, e soprattutto dai suoi scritti traspare l'amore per il Tirolo. Così scrive infatti nel passare il treno la stazione di San Giovanni: «É l'ultimo paese del Tirolo che ci divide, per sempre forse, dalle nostre terre, e qui in questo paese, un sospiro di dolore ci sale imperioso dal cuore e ci domandiamo: Rivedremo più questi luoghi? La mamma gli amici, i colli ameni, i fiumi d'argento, il lago caro e violetto li rivedrò più mai?»

Tuesday, August 4, 2020

Umberto Artel

Umberto Artel nasce a Riva del Garda il 4 agosto 1887. Tipografo, cartolaio e legatore di libri, nel 1911 collabora alla fondazione a Riva di una sezione del Partito Socialista. 

Umberto Artel. Come si nota, la divisa è quella degli Alpini.


Allo scoppio della guerra Artel viene inviato in Galizia. Fatto prigioniero dai Russi, è trasferito in Siberia. Durante la permanenza al fronte e la prigionia, Artel tiene un diario nel quale annota le esperienze occorsegli tra il 12 agosto del 1914 ed 16 febbraio 1915. 

Muore a Riva del Garda il 27 gennaio 1968. 

Le foto provengono dal  Museo Storico del Trentino.

Parlano di Umberto Artel:

Saturday, January 11, 2020

Paola Baronchelli Grosson ("Donna Paola")

Paola Grosson de Guentry è stata una giornalista italiana, nota con lo pseudonimo di "Donna Paola". 

Nata a Bergamo l'11 gennaio del 1866, la Grosson è figlia di Francesco Claudio e di Margherita Trolli. Il padre è militare di carriera e la famiglia – di antica origine francese – è di condizione agiata. Nel 1884 la Grosson sposa Pietro Baronchelli, medico condotto in Sicilia. 

L'esordio come giornalista avviene nel 1895 sulle colonne del settimanale fiorentino Scena Illustrata. La Grosson adotta in quella sede lo pseudonimo "Donna Paola", con cui firmerà tutte le sue opere. Successivamente collabora con numerose altre riviste e quotidiani, quali Almanacco della donna italiana, Capitan Fracassa, Caffaro, Corriere di Napoli, Corriere dei piccoli, Fanfulla, Gazzetta del popolo, Gran Mondo, Moda del giorno, Patria, Tribuna, Vita femminile, Vita internazionale.  

Allo scoppio della guerra, nell'estate del '14, la Grosson sostenne posizioni interventiste. A seguito dell'ingresso in guerra dell'Italia, l'autrice si spende in favore della mobilitazione delle donne a sostegno dello sforzo bellico e dà alle stampe diversi libri ed opuscoli in materia. 
A parere della Grosson, la partecipazione delle donne alle vicende del conflitto avrebbe favorito un loro riconoscimento politico e sociale al termine della guerra. Il suo impegno patriottico tuttavia non si esprime solo attraverso opere incentrate sulla mobilitazione femminile: l'autrice dà alle stampe anche alcune opere di narrativa per l'infanzia, come la trilogia di Pippetto (Pippetto vuol andare alla guerra, Firenze 1916; Pippetto difende la patria, 1920; Pippetto fa l'italiano, scritto nel 1920 e pubblicato nel 1925).

Particolare rilievo va tuttavia dato a  La funzione della donna in tempo di guerra (Firenze 1915), e La donna della nuova Italia. Documenti del contributo femminile alla guerra (maggio 1915 - maggio 1917) (Milano 1917). In tali opere l'autrice – oltre a criticare le posizioni apolitiche sposate dalla maggior parte delle organizzazioni femminili – sottolinea le conquiste delle donne nel panorama industriale. Leggiamo ad esempio in La donna della nuova Italia
Soltanto due anni addietro un ingegnere, un capo-tecnico avrebbero riso come di una stramberia all'idea di mettere una donna al tornio [...] Ebbene: le notizie in possesso del Ministero Armi e Munizioni diostrano che le donne possono eseguire, ed oggi eseguiscono, gran parte delle lavorazioni per la produzione del materiale da guerra. 
Trasferitasi in Liguria alla fine degli anni '20, la Grosson muore a Quarto dei Mille il 13 maggio 1954.


Il passaggio citato è riportato da Antonio Gibelli, La grande guerra degli Italiani, p. 191-92.